Ricorso  del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in
Roma, via dei Portoghesi 12, e' domiciliato;

    Nei  confronti  della  Regione  Emilia-Romagna,  in  persona  del
presidente   della   Giunta   regionale,   per  la  dichiarazione  di
illegittimita'  costituzionale  degli articoli 2, comma 1 lettera f),
15,  comma  1, 13, comma 1 lettera a), 17, 19, 24, comma 4, 26, comma
3,  28, comma 2, 45, comma 2, 49, comma 2, 62, comma 3, dello statuto
della  Regione Emilia-Romagna, approvato in prima deliberazione il 1°
luglio  2004  ed  in  seconda  deliberazione  il  14  settembre  2004
pubblicato nel B.U.R. n. 130 del 16 settembre 2004, in relazione agli
articoli  1, 3, 48, 49, 97, 114, 123, 117, comma secondo, lettere a),
f),  l),  p),  comma  terzo  e  comma  quinto  -  anche  in relazione
all'art. 6,  comma  1,  della legge 131/2003 - 118, commi 1 e 2, 121,
comma 2, 122, comma 1, 123, 126, 138 della Costituzione.
    In  data  16  settembre 2004 e' stato pubblicato lo Statuto della
Regione  Emilia-Romagna approvato in seconda deliberazione in data 14
settembre 2004.
    Tale  Statuto,  in  conformita'  della delibera del Consiglio dei
ministri  in data 8 ottobre 2004, viene impugnato nelle sottoindicate
disposizioni   non  in  armonia  con  la  Costituzione  e  quindi  in
violazione dell'art. 123 di questa, come appresso specificato:
1) Art. 2, comma 1, lettera f) ed art. 15 comma 1.
    Dichiara  la  prima  delle  due  norme  in oggetto che la Regione
ispira la propria azione prioritariamente all'obiettivo del godimento
dei   diritti  sociali  degli  immigrati,  degli  stranieri  profughi
rifugiati ed apolidi, «assicurando, nell'ambito delle facolta' che le
sono  costituzionalmente  riconosciute,  il  diritto  di  voto  degli
immigrati  residenti».  La  seconda  norma stabilisce che la Regione,
«nell'ambito   delle   facolta'   che   le   sono  costituzionalmente
riconosciute,  riconosce e garantisce a tutti coloro che risiedono in
un  comune  del  territorio  regionale  i  diritti  di partecipazione
contemplati  nel presente Titolo, ivi compreso il diritto di voto nei
referendum e nelle altre forme di consultazione popolare,».
    Tali  disposizioni appaiono in contrasto con l'art. 48 Cost., che
considera elettori i soli cittadini.
    Non  puo'  confondersi il concetto di popolazione (sommatoria dei
residenti in un ceno territorio in un determinato momento) con quello
di  popolo (detentore della sovranita' ai diversi livelli di governo)
riferito  appunto allo status di cittadino. Di qui anche il contrasto
con l'art. 1 Cost.
    Per  altro  aspetto  si  ravvisa un contrasto con le disposizioni
dell'art. 117, comma 2 lettere f) e p), Cost., che attribuiscono allo
Stato  la competenza legislativa esclusiva rispettivamente in materia
di  organi  dello  Stato e relative leggi elettorali ed in materia di
legislazione elettorale di comuni, province e citta' metropolitane.
    Per quanto specificamente riguarda l'esercizio dell'elettorato da
parte  degli  immigrati  nell'ambito  della  partecipazione alla vita
pubblica   locale,   non   varrebbe   richiamarsi  alla  disposizione
dell'art. 9, comma 4 lettera d) del D.Lgs. n. 286/1998 e del capitolo
C  (art. 6)  della Convenzione di Strasburgo 5 febbraio 1992 cui essa
fa  riferimento, perche' di detta convenzione e' stata autorizzata la
ratifica  (legge 203/1994) solo limitatamente ai capitoli A e B (cio'
a prescindere dal rilievo che il capitolo C pone condizioni per nulla
indicate   nelle   clausole  statutarie  in  esame,  le  quali  fanno
riferimento  al  solo  dato  della  residenza,  in  qualunque momento
acquisita).  In  ogni  caso  lo stesso art. 9, comma 4 lettera d) del
D.Lgs.  n. 286/1998  espressamente precisa che l'elettorato anzidetto
potra'  essere  esercitabile  «quando  previsto dall'ordinamento». Al
riguardo,  fermo  il  rilievo  inerente  alla previsione dell'art. 48
Cost,  e' chiaro poi che la concreta attribuzione del diritto di voto
potrebbe attuarsi solo in forza di una legge statale, data l'evidente
esigenza   di   una   disciplina  unitaria  ed  uniforme  sull'intero
territorio  nazionale dei diritti politici degli immigrati, quale che
sia la parte di territorio nazionale ove essi risiedano.
    Fermo sempre il rilievo pregiudiziale fondato sull'art. 48 Cost.,
un  contrasto  sembra  configurabile  anche  con l'art. 122, comma 1,
Cost.  per  quanto  concerne  il  «sistema  di elezione» degli organi
rappresentativi  regionali,  ove in questo, specificamente riferibile
al  meccanismo  di  organizzazione delle modalita' di espressione del
voto  per  la  selezione dei candidati, si ritenga rientrare anche la
definizione  del  relativo corpo elettorale. Lo Statuto, infatti, non
puo'  disciplinare  direttamente  la materia elettorale che interessa
l'area legislativa riservata dal primo comma dell'art. 122 Cost. alla
«legge  della  Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti
con  legge  della  Repubblica»  (cfr.  sent.  2/04),  ai quali ultimi
specificamente    atterrebbe    il    criterio    di   individuazione
dell'elettorato attivo.
    In  altri  termini, e' contrario alla Costituzione sia esercitare
direttamente  in  sede statutaria una potesta' legislativa in materia
elettorale, attribuita ad organi ed a procedure diverse, sia definire
statuariamente  indirizzi  per l'esercizio della potesta' legislativa
regionale   in  materia;  indirizzi  che  spetta  invece  allo  Stato
stabilire  in  termini  generali  e  di  principio  non  legati  alle
specificita' delle singole regioni.
    A  conclusioni  non diverse deve pervenirsi anche con riguardo al
diritto  di  voto nei referendum e nelle altre forme di consultazione
espressione di sovranita' popolare.
    Poiche' nell'ambito delle facolta' che le sono costituzionalmente
riconosciute  la  Regione  non  puo'  «assicurare»,  «riconoscere»  e
«garantire»  alcunche',  circa  il  diritto  di  voto agli immigrati,
palesemente illegittime risultano le denunziate clausole statutarie.
    Puo' aggiungersi che un ulteriore contrasto con l'art. 121, comma
2, Cost. puo' prospettarsi nei limiti in cui le disposizioni in esame
intendano  anche  vincolare il Consiglio regionale, in materia non di
competenza  della  Regione,  nel suo potere di fare proposte di legge
alle  Camere,  il  cui  esercizio  deve rimanere alla responsabilita'
politica dell'organo anzidetto.
2) Art. 13, comma 1, lettera a).
    Secondo la norma in oggetto la Regione, nell'ambito delle materie
di  propria  competenza,  «provvede  direttamente  all'esecuzione  ed
all'attuazione  degli  accordi  internazionali stipulati dallo Stato,
nel rispetto delle norme di procedura previste dalla legge.».
    In  quanto  per  l'esercizio  della prevista facolta' non pone la
condizione che gli accordi siano stati previamente ratificati e siano
entrati  internazionalmente in vigore, la norma non appare rispettosa
dell'art. 117,  comma  2  lettera a) Cost., che riserva allo Stato la
competenza  esclusiva  in  materia  di  politica  estera  e  rapporti
internazionali dello Stato stesso.
    In  modo  ambiguo  inoltre  -  tenuto  conto delle specificazioni
invece  rispettivamente recate dai commi 2 e 3 dello stesso art. 13 e
dell'implicito riferimento alla legge regionale ogniqualvolta difetti
una  diversa  qualificazione - la denunziata disposizione del comma 1
richiama  genericamente  le norme di procedura «previste dalla legge»
senza  precisare che deve trattarsi di una legge dello Stato; cio' in
contrasto con l'art. 117, comma 5, Cost.
3) Artt. 17 e 19.
    Nello  specificare i diritti di partecipazione garantiti a «tutti
i residenti» (ivi compresi dunque gli immigrati) ai sensi del comma 1
dell'art. 15,  l'art. 17 prevede la possibilita' di un'istruttoria in
forma di contraddittorio pubblico, indetta dall'Assemblea legislativa
(d'ufficio  o  su  richiesta  di  cinquemila  «persone»)  cui possono
partecipare,  oltre ai Consiglieri regionali e alla Giunta regionale,
«associazioni,  comitati  e  gruppi  di  cittadini  portatori  di  un
interesse  a  carattere  non  individuale», per la formazione di atti
normativi  o  amministrativi  di  carattere  generale,  i quali vanno
motivati con riferimento alle risultanze istruttorie.
    Tale  norma  -  che,  stando  al  lessico  dello  Statuto  sembra
riferirsi    anche   all'attivita'   legislativa,   cui   del   resto
espressamente  si  rivolge l'art. 19 per rendere effettivo il diritto
di  partecipazione  al  procedimento  legislativo ed alla definizione
degli indirizzi politico-programmatici piu' generali - contrasta, per
quanto  concerne  l'attivita' normativa di carattere amministrativo e
l'adozione  degli  atti  amministrativi  di  carattere  generale, con
l'art. 97 Cost., in quanto non coerente con i principi di efficienza,
buon   andamento   ed   imparzialita'.  Cio'  sia  per  la  pressione
esercitabile  da  parte  dei  gruppi  piu'  forti ed organizzati, fra
l'altro  in  assenza  di  qualsiasi  garanzia  di  serieta'  di  tali
aggregati,  sia per l'esposizione al pericolo di istruttorie lunghe e
defatiganti   a  protezione  di  interessi  settoriali  -  si  pensi,
esemplificativamente,    ai    procedimenti   per   l'emanazione   di
disposizioni  in  materia tributaria - fermo rimanendo che il mancato
rispetto  dei  termini  che  fossero  stabiliti  per  la  conclusione
dell'intero  procedimento  (ultimo  comma  dell'art. 17) non potrebbe
comportare   la   decadenza   dell'organo  regionale  dal  potere  di
provvedere  normativamente.  L'obbligo  di motivazione in riferimento
alle  risultanze  istruttorie  contraddice  poi i principi in tema di
attivita'  normativa  e  principalmente quello dell'irrilevanza della
motivazione della norma, tanto piu' in tema di attivita' legislativa,
espressione, quest'ultima, di libere scelte politiche.
    La  forma  di istruttoria in questione e l'obbligo di motivazione
contraddicono  anche  il  principio  di  ragionevolezza riconducibile
all'art. 3 Cost., su cui si fondano, unitamente ad intuitive esigenze
pratiche,  le diametralmente opposte previsioni dell'art. 3, comma 2,
e  dell'art. 13, commi 1 e 2, della legge 241/1990, dalla quale erano
desumibili principi generali dell'ordinamento giuridico (cfr. art. 29
della stessa legge).
    A  sua  volta,  l'art. 19 prevede per «tutte le associazioni» che
facciano  richiesta  un «diritto di partecipazione» e la «garanzia di
un  dialogo permanente» in ordine al procedimento legislativo ed alla
definizione degli indirizzi politico-programmatici piu' generali, che
nulla  ha  a  che  vedere  con la facolta' spettante alle Commissioni
dell'Assemblea   legislativa,   ove   ne   avvertano  l'esigenza,  di
consultare  le  rappresentanze  della societa' civile e di conseguire
apporti di enti ed associazioni (art. 39).
    Le previsioni dell'art. 19 appaiono suscettibili di compromettere
l'autonomia  del  Consiglio regionale, cui e' demandato dall'art. 121
Cost.  l'esercizio  della  potesta'  legislativa,  e contraddicono le
stesse  affermazioni statutarie rispettivamente recate: dall'art. 27,
secondo   il   quale   il   Consiglio   regionale   e'  organo  della
rappresentanza  democratica  regionale,  di  indirizzo  politico e di
controllo  e l'Assemblea ha autonomia funzionale; dall'art. 31, comma
1  lettera  a),  secondo il quale l'autonomia e la rappresentativita'
dell'Assemblea  -  eletta  a suffragio universale e diretto, con voto
personale,  libero  e  segreto  (art. 29,  comma 1) - sono condizione
essenziale  per  la  funzione istituzionale e per il libero confronto
democratico tra maggioranza ed opposizioni.
    In  particolare,  sul  postulato  implicito  e contraddittorio di
un'inidoneita'   del   Consiglio   regionale   a   rappresentare  con
effettivita'  gli  interessi  della comunita' nazionale, le censurate
disposizioni   alterano   il   sistema   realizzando   uno  specifico
condizionamento  nel  modo  di operare di tale principale istituto di
democrazia  rappresentativa, di per se' dotato del piu' alto grado di
legittimazione   democratica   ed  i  cui  componenti,  politicamente
responsabili  verso  l'intero elettorato, rappresentano singolarmente
l'intera  comunita' regionale ed esercitano le proprie funzioni senza
vincolo di mandato (art. 27, comma 2).
    Ben  diversamente  da  quanto  avviene  nella principale forma di
democrazia  diretta  costituita dalla consultazione referendaria, che
coinvolge individualmente e singolarmente ogni componente di tutta la
comunita'  elettrice,  i  diritti  di  partecipazione  e  le garanzie
previste  realizzerebbero,  nella  sostanza,  una sorta di democrazia
«governata»  da  parte  di gruppi di pressione organizzati, della cui
struttura  democratica  non v'e' garanzia, per assicurare la coerenza
dell'azione   politica  degli  organi  rappresentativi  non  con  gli
orientamenti  maggioritari  degli  elettori  bensi' con gli interessi
degli stessi gruppi.
    Sembra  palese  il  contrasto,  oltre  che  con  il  principio di
coerenza  di  cui  all'art. 3  per  l'alterazione  di  un  sistema di
democrazia  rappresentativa,  con  l'art. 1, comma 2, e con l'art. 49
Cost., il quale ultimo presuppone che i fattori di politica generale,
«forze  intermedie  ed intermediatrici», costituiti dai partiti siano
sottesi nel funzionamento delle assemblee legislative.
4) Art. 24, comma 4.
    La  norma  stabilisce  che «la Regione, nell'ambito delle proprie
competenze,  disciplina le modalita' di conferimento agli enti locali
di  quanto  previsto  dall'articolo 118 della Costituzione, definendo
finalita' e durata dell'affidamento ...».
    La  previsione  in  linea  generale  di «affidamenti» di funzioni
amministrative  a durata limitata non risulta in linea con i principi
costituzionali,  in  quanto  sembra  menomare  l'autonomia degli enti
locali  sancita dall'art. 114 e violare lo stesso art. 118, comma 1 e
2, Cost.
    Da   un   lato,  infatti,  la  predeterminazione  di  un  termine
contraddice e limita l'operativita' dei principi di sussidiarieta' ed
adeguatezza  che  condizionano  il  conferimento a livello di governo
superiore  delle  funzioni  amministrative,  di  regola attribuite ai
comuni.  Dall'altro  una  tale  previsione appare in contrasto con la
stessa  affermazione  costituzionale  secondo  la  quale i comuni, le
province  e  le citta' metropolitane sono «titolari» (oltre che delle
funzioni  istituzionalmente  proprie)  delle  funzioni  conferite con
legge  statale  o  regionale.  Affidare  temporaneamente  determinate
funzioni e' cosa diversa dal conferirne la titolarita'.
5) Art. 26, comma 3.
    La  norma  in  oggetto  dispone  che «l'Assemblea legislativa, in
conformita'  con  la  disciplina  stabilita  dalla legge dello Stato,
procede  alla delimitazione dell'area metropolitana di Bologna e alla
costituzione  della citta' metropolitana, nonche' alla individuazione
delle sue funzioni».
    L'attribuzione   all'Assemblea   legislativa  di  individuare  le
funzioni  della  citta'  metropolitana  risulta  in  contrasto con la
previsione  di  cui  all'art. 117,  comma  2,  lettera p), Cost., che
riserva  alla  potesta'  legislativa esclusiva dello Stato la materia
delle   funzioni   fondamentali   di   comuni,   province   e  citta'
metropolitane.
6) Art. 28, comma 2.
    Secondo  la norma in oggetto «l'Assemblea, nei tempi definiti dal
Regolamento  interno,  discute  e  approva  il  programma  di governo
predisposto   dal   Presidente   della  Regione  riferito  all'intera
legislatura e a tutti i settori d'intervento regionale ...».
    La   disposizione  non  e'  accompagnata  dall'indicazione  delle
conseguenze  della  mancata approvazione, la quale comunque menoma di
per  se'  la  legittimazione  ed  il ruolo del Presidente, ed e' gia'
censurabile per questa sua ambiguita'.
    Nel sistema delineato dallo Statuto, l'approvazione del programma
di  governo  compete  al Consiglio (articolo 28), cui spetta indicare
l'indirizzo  politico  e  programmatico  della Regione e controllarne
l'attuazione.   Al   Presidente  della  giunta,  eletto  a  suffragio
universale  e  diretto,  spetta la predisposizione del programma e la
sua attuazione (articoli 43 e 44).
    La  disposizione  in  oggetto (che non si limita a prescrivere la
tempestiva  presentazione  del  programma  di  governo  ma prevede un
termine  per  la sua approvazione determinato dal Regolamento interno
dell'Assemblea)  non  risulta  coerente  con  l'elezione  diretta del
Presidente  (di  cui sembra ridurre i poteri di indirizzo), in quanto
la prevista approvazione consiliare del programma di governo instauri
irragionevolmente  e  contraddittoriamente tra Presidente e Consiglio
regionale   un  rapporto  diverso  rispetto  a  quello  che  consegue
all'elezione   a   suffragio   universale   e   diretto  del  vertice
dell'esecutivo  prevista  dall'art. 42 (conformemente al comma quinto
dell'art. 122   Cost.)  in  relazione  alla  quale  non  sussiste  il
tradizionale  rapporto  fiduciario  con  il Consiglio rappresentativo
dell'intero corpo elettorale (sent. 2/2004).
    Essa,  pertanto,  tenuto  anche  conto dei canoni fondamentali di
coerenza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., non puo' ritenersi
in armonia con la Costituzione.
7) Art. 45, comma 2.
    Nello  stabilire che «la carica di Assessore e' incompatibile con
quella   di   Consigliere  regionale»,  la  norma  in  oggetto  viola
l'art. 122,   comma  1,  Cost.,  il  quale  prevede  che  i  casi  di
incompatibilita'  dei  componenti  della Giunta regionale nonche' dei
consiglieri  regionali sono disciplinati con «legge della Regione nei
limiti   dei   principi   fondamentali   stabiliti  con  legge  della
Repubblica».
    Con la previsione del caso di incompatibilita', lo Statuto invade
dunque  illegittimamente  l'area  legislativa  riservata  alla  legge
regionale.   Contrario   alla  Costituzione,  oltre  che  il  diretto
esercizio in sede statutaria della potesta' legislativa attribuita ad
organi  ed  a procedure diverse (sent. 2/2004) e' anche l'indicazione
statutaria  di  indirizzi  per l'esercizio della potesta' legislativa
regionale  in  materia i cui principi fondamentali compete alla legge
dello Stato definire.
8) Art. 49, comma 2.
    La  norma prevede che la Giunta regionale disciplina l'esecuzione
dei   regolamenti   comunitari  «nei  limiti  stabiliti  dalla  legge
regionale».
    Essa,  omettendo  di riferirsi al necessario rispetto delle norme
di   procedura   stabilite  da  legge  dello  Stato,  la  quale  deve
disciplinare  anche le modalita' di esercizio del potere sostitutivo,
viola l'art. 117, comma 5, Cost. che tale limite stabilisce.
9) Art 62, comma 3.
    La  norma prevede una disciplina regionale del rapporto di lavoro
del  personale regionale, in conformita' ai principi costituzionali e
secondo   quanto   stabilito   dalla  legge  e  dalla  contrattazione
collettiva. Essa, in quanto presuppone una disciplina sostanziale del
rapporto  di  lavoro  e  dei  suoi  aspetti  fondamentali, si pone in
violazione dell'art. 117, comma 2 lettera l), Cost.
    E'   infatti   pacifico  che  questa  disposizione  riserva  alla
competenza   legislativa   esclusiva   dello   Stato   la  disciplina
sostanziale  del  rapporto  di  lavoro,  riconducibile  alla  materia
«ordinamento civile» (sent. 2/2004).